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The Giver è un film dove la repressione dell’umanità avviene attraverso la reclusione delle persone in una gabbia dorata, che dimostra che cosa non è la comfort zone e con cosa viene confusa.
Lo è nell’accezione distorta di chi fa uso di questa terminologia impropriamente. Lo è per chi utilizza il vecchio giochetto di attribuzione di responsabilità a te, del tipo “se vuoi puoi” e sennò sei tu che non vuoi e allora sei una brutta persona, na pippa.
Nel film the Giver si capisce che tutti sono ignari di quello che gli capita e che non possono e non devono andare proprio da nessuna parte fuori dal recinto.
In sostanza è l’equivalente di tua mamma che ti diceva di non uscire di casa perché era pericoloso potevi prendere freddo, sbucciarti le ginocchia, ricevere caramelle drogate (magari! A saperlo!) e dopo ti diceva che ti stava bene se ti facevi male e ci metteva anche il carico sopra, magari con uno zoccolo in fronte (ora non capita, troppo poco sottile come manipolazione, la manipolazione, almeno lei, si evolve).
In pratica sei stato punito da piccolo per aver provato ad uscire dalla “comfort zone” (aka carcere) e da adulto vieni schernito e punito per non avere le palle di uscire dalla comfort zone (cioè scappare dal carcere per andare nella terra degli zombie sanguinari).
Il film narra la storia di una realtà distopica in cui gli esseri umani, per debellare i mali del mondo e tutte le sofferenze connesse, come guerra, malattia, morte e tutti i sentimenti distruttivi come l’odio, l’invidia, l’ira e così via, decidono di recludere la popolazione in una circoscritta cittadella inaccessibile e da cui non si può uscire, controllando ogni aspetto dell’esistenza ed eliminando qualsiasi tipo di scelta arbitraria delle persone.
A partire da una selezione artificiale delle persone adatte alla civiltà in base alla robustezza dei pargoli, che più assomiglia alle famigerate pratiche spartane per selezionare i soldati, i bambini inadatti vengono eliminati attraverso una specie di eutanasia morbida chiamata “congedo”, dove il concetto di omicidio e morte viene negato, ma che loro definiscono “linguaggio di precisione”.
Questo linguaggio di precisione tanto mi ricorda coloro che ti dicono (guru, sempre loro, di tutte le razze) che usando parole positive la tua realtà diventa positiva. Vorrei essere volgare rispetto a questo concetto per far capire cosa ne penso ma userò un linguaggio di precisione:
bella strunzata
Non sto dicendo che non esiste il linguaggio di precisione, ma che è un’altra cosa.
Ma torniamo al film. Fin dalla nascita nessuno viene lasciato libero di poter pensare liberamente ed esprimersi ma viene premiato per il rispetto delle regole ferree di comportamento imposte in modo apparentemente morbido e non coercitivo, ma come una buona pratica di convivenza giusta da seguire apriori.
Fin da piccoli anestetizzati attraverso farmaci assunti volontariamente senza ben sapere l’effetto reale di essi, ovvero la repressione delle pulsioni e delle emozioni (pensiamo ai bambini vivaci considerati affetti da ADHD a cui viene somministrato il roipnol ad esempio per farli stare buoni o viene “somministrato” l’iPad o il cellulare).
I cittadini non sono più in grado di vedere i colori, il mondo è totalmente in bianco e nero, per eliminare tutte le differenze tra esseri umani che possono far scaturire un senso di competizione e superiorità che inevitabilmente attiverebbe la spigolosa natura umana, portando a dissidi interni e lotte di potere.
Le relazioni tra le persone sono fredde ed una distanza di amichevolezza del tipo buoni vicini. Cioè tipo:
“ci facciamo due risate ma poi ognuno a casa sua“.
che poi se hanno represso le emozioni non si sa come fanno a ridere.
Ad ognuno viene attribuito un percorso professionale calcolato al computer (credo) a cui non ci si può opporre, che per carità, sempre meglio di “fai medicina che guadagni, sei stimato e hai il posto sicuro” o “farai l’avvocato come tuo padre” o “fai il classico che così puoi fare tutte le università“.
Tutto scorre pacifico e regolare, prevedibile, ripetitivo, senza tumulti, senza sorprese, senza dolore. Ma anche senza gioia, creatività e tutte quelle esperienze sensoriali che fanno si che il mondo sia un posto a tratti gradevole da vivere, ma di cui spesso ci dimentichiamo.
Ed è proprio l’oblio, l’altro aspetto che caratterizza questa realtà: nessuno ha memoria del passato di ciò che è stato. Nessuno ricorda come il mondo fosse, cosa fosse il dolore, cosa fosse l’amore, cosa fosse la passione, cosa fosse la differenza e l’individualità, cosa fosse l’umanità in breve.
Unico custode di queste memorie è proprio l’accoglitore di memorie colui che ha la capacità di connessione con l’inconscio storico, serbatoio della storia dell’umanità.
Non mi dire che ti sta balenando per la mente che assomiglia al mondo in cui viviamo o verso cui tende?
Lasciamo perdere per un attimo questa parentesi ed andiamo al cuore del discorso di questo articolo.
La fantasia di cancellare ciò che abbiamo di umano non è nuova e non è fantascienza. Umanità vista come malattia, bug del sistema.
La pratica della lobotomia è una delle agghiaccianti realtà che la nostra storia “medica” ha attraversato. Interrompere emozioni dirompenti staccando un pezzo di cervello e rendendo le persone amebe.
Un pò come schiacciare una zanzara la rende meno fastidiosa.
Morte=non esistere=pacifico
Erroneamente la descrizione di un mondo privo di emozioni, regolare, ripetitivo e rappresentato come la comoda tana di chi si reclude nella comfort zone perché non ha il coraggio di affrontare sfide e vivere veramente.
Questa sarebbe la scelta facile dei poco di buono.
Se tu fossi figo (come cantava Elio) ti andresti volentieri a buttare in pasto agli squali!
Dai perché non lo fai??!!! E’ bellissimo ! E’ lì che inizia la vita vera come gli piace tanto dire!!
Sicuramente.
Sinceramente fare il cibo umano non mi è mai sembrata una esperienza attraente e nemmeno educativa, cioè, se vengo mangiato cosa posso imparare? Che non ho più un braccio!
“E ma il pilota Zanardi ha fatto proprio così“
Si, Zanardi ha proprio detto:
“Oggi vado in pista è mi spezzo le gambe per sempre così imparerò è diventerò più forte!“
Quando vai fuori nel mondo, la comfort zone deve essere dentro di te.
Un esempio nel film è quando il protagonista, il classico eletto alla Matrix che un pò come i nostri politici italiani, non si sa chi lo ha eletto, si ribella uscendo dalla cittadella e percorrendo km e km di strada a piedi tra neve, deserto e scenari rocciosi con un bebè in braccio, nutrendosi delle immagini e delle memorie di cui è portatore che gli donano energia, fiducia, coraggio e tutto quello di cui ha bisogno per avanzare con sicurezza.
La sua missione è permettere di vivere agli altri senza che debbano fare gli eroi come lui, liberandoli dalle catene della schiavitù mentale.
Fino a quando sei schiavo della tua mente, fratello (o sorella), fattelo dire, è meglio che non vai da nessuna parte.
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La guida per la tua evoluzione comoda. Sono Psicologo-Psicoterapeuta, Trainer-Coach. Ideatore della Strategia Quietmood. Direttore del centro Quietmood di Bologna e direttore della collana BINARIO| libri x evolversi della Dario Flaccovio Editore. Autore del libro LA VITA INIZIA NELLA COMFORT ZONE, Flaccovio Editore, 2022
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